Abbiamo rivolto tre domande a Michele Tiraboschi, Professore ordinario di Diritto del lavoro e Presidente della Commissione di certificazione del Centro Studi Internazionali e Comparati DEAL (Dipartimento di Economia Marco Biagi – Università di Modena e Reggio Emilia).
Vogliamo che sia una persona con più esperienza di noi in materia a raccontarvi perché si tratta di una certificazione così apprezzabile, sotto molti aspetti. Non senza motivo ANT possiede la Certificazione dei Contratti già dal 2019.
1. Dottor Tiraboschi, pochi professionisti sembrano conoscere la Certificazione dei Contratti, eppure è uno strumento introdotto dalla Riforma Biagi (D.Lgs. n. 276/2003) ed è facilmente attivabile. Perché è tanto importante e perché molti più professionisti dovrebbero richiederla?
La certificazione dei contratti è una delle più significative novità introdotte dalla Riforma Biagi.
Si tratta di una procedura che può riguardare tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro e in cui vi è un soggetto terzo ed imparziale, la Commissione di certificazione, che verifica se un contratto presenta i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge.
Lo scopo è quello di accrescere le tutele dei lavoratori già in fase di incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma anche di ridurre il rischio di contenzioso in materia di lavoro che potrebbe sorgere tra le parti contrattuali in un momento successivo alla stipula del contratto. Tra i principali effetti, infatti, oltre alla diminuzione dell’eccessivo numero di controversie giudiziali tra imprese (ma anche tra lavoratori e datori di lavoro), con la certificazione dei contratti è possibile evitare un uso “distorto” dei contratti di lavoro e dei contratti commerciali (es. contratti di appalto), con ovvie conseguenze sulla possibile “tenuta” del contratto in caso di contestazione davanti alla magistratura nonché opponibilità agli organismi ispettivi e valorizzazione delle buone prassi nell’ottica della Responsabilità Sociale d’Impresa. Presso la nostra Commissione di certificazione – la prima sede universitaria in Italia ad essere autorizzata allo svolgimento di tale attività – è possibile attivare facilmente le procedure di certificazione dei contratti senza la necessità di recarsi in presenza presso la nostra sede (qui maggiori informazioni) nonché altri servizi come le conciliazioni in sede protetta e l’assistenza preliminare alle parti con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro.
2. Il numero di richieste è stabile nel tempo oppure avete notato dei picchi? Quale è la sua analisi in merito?
La nostra Commissione, con competenza territoriale nazionale, conta oltre 22.500 istanze di certificazione ricevute dal 2005. I contratti sottoposti alla nostra valutazione sono di diversa tipologia: spaziamo dai contratti di lavoro “atipici” (con prevalenza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e contratti di lavoro autonomo) ai contratti di appalto e subappalto, accordi di distacco nonché contratti (di lavoro e commerciali) aventi ad oggetto attività da svolgere negli ambienti confinati e/o sospetto di inquinamento ai sensi del DPR n. 177/2011. Nonostante l’istituto sia ancora sconosciuto a molti addetti ai lavori soprattutto in quest’ultimo ambito (in cui, è bene ricordarlo, dal 2011 vi è un obbligo di certificare i contratti di subappalto nonché quelli di lavoro se diversi dal contratto ritenuto standard, cioè subordinato a tempo indeterminato), negli
ultimi anni, compreso il 2020 colpito dalla pandemia da Covid-19, abbiamo registrato un aumento delle aziende che hanno fatto ricorso a tale istituto per la certificazione di appalti e subappalti (anche al fine di accertare la natura del contratto ed escludere la somministrazione fraudolenta di manodopera). Un altro dato interessante che abbiamo registrato, proprio nell’ultimo anno, è stato altresì l’incremento delle procedure di conciliazione volontaria effettuate in via telematica.
3. Con il concetto di Responsabilità sociale d’impresa entriamo nel campo dell’etica. Ci può spiegare questo aspetto?
L’istituto della certificazione dei contratti può essere letto anche in chiave di Responsabilità Sociale d’Impresa e di valorizzazione del capitale intangibile (nello specifico di capitale umano) in quanto sviluppa e rafforza il senso di appartenenza e di condivisione degli obiettivi e dei risultati dell’azienda, con riflessi positivi sui processi di lavoro e di diffusione nella cerchia parentale, amicale e sociale del cosiddetto positive word of mouth, il passaparola positivo. Un comportamento etico, che si realizza sottoponendo i contratti di lavoro e di appalto stipulati all’esame della Commissione di certificazione (che, come abbiamo ricordato, è terza e imparziale), che ne giudica la legittimità.
Ciò si riflette positivamente sull’ambiente, sugli interlocutori dell’azienda, sui clienti e sui fornitori che la scelgono come partner, ma anche sulle banche e sulle istituzioni nonché su quella parte di “attivisti sociali” che fungono da opinion leader e possono influenzare in maniera anche rilevante le percezioni del pubblico. La comunicazione da parte dell’azienda dell’utilizzo della certificazione dei contratti fa sì che questi ultimi possano essere inseriti nel bilancio sociale, in un’ottica che porta l’impresa a divenire un operatore sociale responsabile che condivide con la comunità i benefici realizzati. L’istituto della certificazione, fungendo da garante sul rispetto dei diritti del lavoratore, produce infine un effetto positivo sull’accettazione delle nuove formule contrattuali, realizzando al contempo l’effettiva flessibilità del mercato, necessaria per la competitività del sistema economico.
Ringraziamo il Presidente della Commissione di certificazione Michele Tiraboschi per le sue chiare ed esaustive risposte.